Autoritratti


Faccia a faccia con gli antichi maestri

di Violet Boulden

Forse più di qualsiasi altro genere artistico, l’autoritratto sa affascinarci e confonderci al tempo stesso. Nel Rinascimento così come oggi, la rappresentazione che un artista crea di sé suscita ammirazione ed interrogativi. Riflettendo su queste tensioni, Pietro Sganzerla instaura un intimo dialogo con gli antichi maestri, dei quali rivisita un gruppo di opere iconiche.
L’artista si rivolge alla cultura figurativa cinque-seicentesca e la anima con la personale elaborazione del suo tratto calligrafico, che si fa strumento inquisitivo. Il dialogo con i dipinti di partenza non assume la forma dell’emulazione o del tributo ma dà vita piuttosto a nuove invenzioni. I ritratti sembrano evocare la tradizione delle serie di effigi di uomini illustri, ma ci si accorge presto di essere di fronte an un progetto diverso, dato che ad ogni autoritratto è associato un animale. Ed ecco che emerge la propensione dell’artista, che ama confrontarsi con intriganti fisionomie, spesso arricchite da un portato storico-culturale, oltre che individuale. In modo non dissimile, da appassionato osservatore della natura, Pietro affronta la multiformità del mondo animale. Non a caso proprio nel cinque-seicento fiorì lo studio della fisiognomica e dell’antropomorfismo – tendenze che ben illustrano la fascinazione sia per il volto come mappa di una realtà interiore che per le potenzialità rivelatrici del mondo naturale, le cui forme si prestano ad essere lette come riflessi di qualità tipicamente umane. Sebbene non sussista una concomitanza di intenti tra questi studi e l’opera di Pietro, è bene considerare i suoi disegni nel contesto di una lunga tradizione che continua ad incuriosirci.
Lo scopo qui non è né scientifico né didattico. Le opere offrono invece una personale esplorazione della complessa natura dell’autoritratto, e del dialogo tra imitazione ed invenzione.
Gli accostamenti tra artisti ed animali non seguono un’unica regola, ma piuttosto la diversa inspirazione derivata dai dipinti. Gli animali sono spesso quelli che gli stessi artisti hanno ritratto o conosciuto durante il loro percorso, ma il vero gioco è quello di rimandi tra la fisionomia e il carattere dell’uno e il simbolismo associato all’altro. Così il cigno, regale nell’aspetto e nel portamento, accompagna Hans Holbein, pittore di corte per antonomasia. Il griffoncino di Jan van Eyck è una citazione ammiccante al ritratto dei coniugi Arnolfini. Mentre a far coppia con l’autoritratto d Dürer troviamo il rinoceronte, animale immortalato in una sua famosa xilografia. Il disegno a china dell’animale africano prende il posto della mitica creatura che Dürer inventò sulla base di un racconto scritto del rinoceronte indiano.
Mentre siamo intenti a scrutare la multiforme superficie grafica, gli sguardi dei personaggi e degli animali sembrano competere per la nostra attenzione. La tecnica sviluppata da Sganzerla gli consente di espandere le potenzialità espressive del disegno a china: la gamma cromatica si snoda in molteplici sfumature, dal grigio argenteo al nero. Se la caratteristica costante dei disegni è la meticolosa esecuzione, la varietà è garantita dall’alternarsi di punti di vista e inquadrature, dalla presenza/assenza di sfondi e accenni al paesaggio naturale.
La scelta di un linguaggio ricco di suggestioni derivate dall’arte incisoria rispecchia i molteplici talenti di Dürer e Rembrandt, nonché l’amore di Rubens per il bianco e nero. Celebrato per la sua maestria nell’uso del colore egli commissionò infatti un gran numero di riproduzioni a stampa dei suoi quadri.
Tutt’altro che nuovo all’esplorazione della triade tratto-ritratto-autoritratto, l’artista crea un arguto gioco di rimandi tra imitazione e creazione, delineazione ed incisione, presenza ed assenza, apparenza ed identità. La proverbiale espressione “ogni pittore dipinge se stesso” si arricchisce di nuovi significati nell’opera di Sganzerla.

Face to face with the old masters
by Violet Boulden


Perhaps more than any other artistic genre the self-portrait can simultaneously fascinate and puzzle us. In the Renaissance as much as today an artist’s own representation of him-self inspires admiration and wonder. Reflecting on these tensions, Pietro Sganzerla engages in an intimate conversation with the old masters, through a group of iconic works.
The artist addresses fifteenth- and sixteenth-century visual culture and animates it through his personal calligraphic style, which becomes an instrument of enquiry. The dialogue with the original paintings does not take the form of emulation or homage but instead gives life to new inventions. The portraits may seem evocative of the tradition of images of illustrious men, but we soon become aware of being presented with a different type of project, since each self-portrait is paired with the portrait of an animal. Here emerges the artist’s penchant; he enjoys treating intriguing physiognomies, often enriched by socio-cultural, as well as subjective significance. Similarly, as a keen observer of nature, Pietro deals with the multiformity of the animal world. Not coincidentally, it was in the early modern period that the study of physiognomy and anthropomorphism flourished – both trends well illustrate the fascination with the face as a map to an interior world, and with the possibility of uncovering quintessentially human qualities within Nature’s own shapes. Although Pietro’s work does not align with these concerns, it is useful to consider his drawings within the context of a still fascinating line of thought.
Here the aim is neither scientific nor didactic. The works offer instead a personal exploration of the complex nature of self-portraiture, and of the dialogue between invention and imitation.
The combination of artist and animal does not follow a given rule, but rather the diverse inspiration derived from the paintings. The animals are often those that the same artists have painted and encountered along their path, but the true play is that of allusions between the physiognomy and character of one and the symbolism associated to the other. It is thus that the swan with its regal appearance and demeanour accompanies Hans Holbein the Younger, celebrated court painter. Jan van Eyck’s Brussels griffon is a humorous allusion to the Arnolfini portrait. Paired with Dürer’s self-portrait we find the rhinoceros, the animal immortalized in his famous woodcut print. The Indian ink drawing of the African animal takes the place of the mythical creature invented by Dürer on the basis of a written account of the Indian rhino.
As we explore intently the multiform graphic surface, the gazes of artists and animals seem to compete for our attention. Sganzerla’s technique allows him to expand the expressive potential of Indian ink: the colour range unfolds through multiple shades, from silvery grey to black. If the recurring feature of the drawings is their meticulous execution, variety is given by the alternation of points of view and framing devices, the presence/absence of backdrops and hints at the natural landscape.
The choice of a language rich in suggestions derived from printmaking reflects Dürer and Rembrandt’s varied talents, as well as Rubens’ love of black and white. Praised for his masterly use of colour he commissioned a large number of printed reproductions of his paintings.
Far from new to the exploration of the triad trait – portrait – self-portrait, the artist creates a witty play of allusions between imitation and creation, delineation and incision, presence and absence, appearance and identity. The proverbial expression “every painter paints himself” is rich with new meaning in the work of Sganzerla.

Romani Barbari Bizantini


Disegni a tre dimensioni

di Angela Madesani

E chi l’ha detto che il disegno ha una valenza solo e soltanto bidimensionale? Come tutte le affermazioni tassative, perentorie, la sua valenza è relativa. Così almeno sembrerebbe di fronte alla teoria di disegni di Pietro Sganzerla (1), in cui è possibile cogliere una valenza tridimensionale..
La sua non è un’esercitazione di matrice linguistica sul mezzo utilizzato, anzi. Di accademico qui c’è ben poco. Il giovane Pietro è libero di fronte al foglio, gioca con la china nera, con il segno e il disegno. Si diverte a distorcere le ipotetiche linee di costruzione del volto. Riempie delle forme senza l’angoscia di rispettare le regole di un coercitivo chiaroscuro. E neppure sente di dovere rispondere a valenze di matrice anatomica. Non c’è rispetto per la miologia, ma neppure gli interessa che ci sia. Mimesis? Solo perché evidentemente riconosciamo che si tratta di volti di uomini, ma la somiglianza non è una delle sue preoccupazioni.
Gli input che ogni volta lo influenzano sono molteplici. Pietro è figlio del suo tempo. Utilizza le immagini di Internet quindi, quelle fluttuanti che scorrono ogni giorno sotto i nostri occhi, ma anche la storia, la memoria di un passato che fa parte del suo bagaglio culturale, sono tra le sue fonti. Nel corso degli anni ha maturato una particolare attenzione nei confronti dell’arte gandharica, talvolta denominata greco buddhista, in cui le influenze le connessioni fra ambiti diversi sono evidenti. Quella dalla quale il giovane artista attinge è una koinè iconografica multiculturale, in cui lui stesso è maggiormente affascinato dalla parte estetica che da quella etica.
Prima di frequentare l’Accademia di Brera con Alberto Garutti, con Italo Chiodi, Sganzerla si è sottoposto al “liceo classico”, ha avvicinato la tradizione. Si è appassionato alla storia, alla filosofia, alla cultura antica. I suoi volti possenti, ci rimandano alla cultura ellenistica, a certa latinità. Quella autoctona che ha preceduto il cosiddetto tardo-antico con la sua scultura possente e potente, dove la levità perfetta del classicismo greco non era più, forse, nemmeno un ricordo. Siamo di fronte al momento dell’azzeramento, un momento di crisi politica, storica, culturale, sociale. Il mondo stava per voltare l’angolo. Un po’ come adesso mutatis mutandis. Che si tratti dei famosi corsi e ricorsi della storia di vichiana memoria? Può anche darsi. Certo la generazione di Sganzerla appartiene a un mondo in cui si parla più di precarietà che di sogni di cambiamento, in cui si comincia a pensare che il centralismo occidentale faccia ormai parte del passato.
Da tre anni Pietro, come molti ragazzi della sua età, se n’è andato dal nostro paese, è approdato a Berlino, meta agognata da una buona fetta di essi. Nella città tedesca si è per lui instaurato un rapporto diverso con la cultura dell’est. Il desiderio della scoperta si è fatto avanti. Come non pensare di fronte ai suoi disegni alla cultura bizantina? A quel mondo che per molti secoli abbiamo visto solo in maniera deteriore-vedi il sostantivo bizantinismo- come un momento dal quale allontanarsi. Abbiamo sempre identificato l’evoluzione in senso artistico, proprio con il “mutare l’arte del dipingere di greco in latino” per parafrasare Cennino Cennini. Guadagnavano la medaglia sul campo quegli artisti medioevali che riuscivano a traghettare la loro pittura da un contesto bizantineggiante alla modernità del gotico nascente, in cui la rappresentazione mimetica giocava la parte del leone.
In realtà, come sempre convinti di avere in mano la verità, abbiamo trascurato alcuni passaggi fondamentali. Non bisogna dimenticarsi che l’Impero Romano di Oriente è caduto mille anni dopo quello di Occidente e che in quel lungo periodo ne sono successe di cotte e di crude. Federico Zeri (2) , il grande maestro della storia dell’arte, negli ultimi anni della sua vita aveva dedicato parecchi studi a questo affascinante momento.
La cultura non è statica e i passaggi e gli scambi avvengono quando meno te lo aspetti. Tutto questo per dire che se si tenta di leggere il suo lavoro senza tenere conto di un’ampia serie di elementi, di passaggi, di stratificazioni culturali se ne esce impoveriti anziché arricchiti.
Credo che la biografia di una persona, di un artista sia un elemento di non poco conto per comprenderne il cammino. Così, perlomeno è per il giovane Sganzerla, cresciuto in una famiglia, in cui il disegno, la creatività sono di casa. Il nonno materno, Egidio Bonfante, al quale Pietro assomiglia anche fisicamente, è stato artista significativo che ha lavorato parecchio per Adriano Olivetti. Il padre, Angelo è un grafico di vaglia. I suoi genitori hanno raccolto, nel corso degli anni, oggetti fra i più disparati, stoffe, maschere, pitture, oggetti: un pappagallo imbalsamato proveniente da Parigi fa bella mostra del suo piumaggio colorato nel salotto di casa a Milano, una sorta di Wunderkammer dove Pietro è cresciuto. Ha visto, ha guardato, ha letto, si è trovato sotto gli occhi molte cose e tutto questo ha giocato un ruolo determinante per la sua ricerca.
Sin da bambino, quando sta per ore incollato alla televisione, come buona parte della sua generazione, disegna. E guarda caso sin da quegli anni disegna soprattutto facce, proprio come adesso. La sua è come un’ossessione.
Da qualche tempo Pietro lavora ai disegni che questo testo accompagna. I soggetti dei quali sono un ampio gruppo di personaggi che spesso hanno un nome, il più delle volte mutuato dal mondo antico, al quale è così fortemente legato. Ma non si pensi di trovarsi di fronte a un topo di biblioteca. L’atteggiamento di Pietro, è antifilologico. Gli piacciono le monete, le medaglie, le guarda, ne trae ispirazione, ma la copia dal vero non fa parte dei suoi orizzonti, anzi.
Il desiderio è proprio quello di affrancarsi da tutto questo, di vivere in toto la libertà del gesto, del segno. I suoi volti sono come delle mappe, in cui è una sorta di horror vacui semiotico, una risposta netta alla limitatezza del foglio. Sono presenti tratti, segni, l’alfabeto greco riveduto e corretto, la tribalità africana, la cultura indiana, altro totalmente inventato.
La decorazione sui volti dei suoi personaggi è come una sorta di tatuaggio. A Berlino è pieno di gente che si tatua tutto il corpo e anche il volto, è una forma di arte, una scelta, una dichiarazione di appartenenza in molti casi. E non si tratta certo di un fenomeno soltanto giovanile: i vecchi Punk, che hanno superato i settanta, dove li mettiamo?
Il più recente dei disegni pubblicati è dedicato a Nerone, un personaggio incredibile, che assomiglia tanto ai personaggi della nostra attualità politica. Ma Nerone era calvo e non aveva ancora pensato di farsi il trapianto. O no?

(1) Mi piace sottolineare che questo è il primo testo critico dedicato al suo lavoro di artista.
(2) Federico Zeri (1921-1998) tra i più stimati e apprezzati conneisseur, è stato, forse, lo storico dell’arte italiano più più conosciuto nel mondo.


Three-dimensional drawings

by Angela Madesani

And who said that design has only two-dimensional value? Like all imperative, peremptory statements, its value is relative. At least it would appear this way, considering Pietro Sganzerla’s series of drawings (1), in which it’s possible to grasp three-dimensional value.
His is not a linguistic exercise in drawing. Indeed, there is very little of the academic here. The young Pietro is free while facing the sheet, he plays with black ink, with mark and design. He enjoys distorting the hypothetical construction lines of the face. He fills the forms without the anxiety to respect the rules of a coercive chiaroscuro. And neither he feels he should respond to anatomic values. There is no respect for myology, nor an interest in it.
Mimesis? Indeed, because obviously we recognise that they are human faces, but the similarity is not his concern.
The inputs that affect him are varied each time. Pietro is a son of his time. He uses images from the Internet, those floating ones which run every day before our eyes; but also history, the memory of a past which is part of his cultural heritage, is among his sources. Over the years he has developed an interest in the art of Gandhara (Greek Buddhist), where the influences and the connections between different areas are obvious. The young artist draws from a multicultural iconographic koinè, the aesthetic aspect of which fascinates him more than the ethical one.
Before attending the Academy of Brera with Alberto Garutti and Italo Chiodi, Sganzerla studied Classics at high school in Milan, where he was introduced to artistic tradition. He became fond of history, philosophy and ancient culture. His mighty faces bring us back to Hellenistic culture, to a sort of Latinism. A more native example of Latinism, which preceded the so-called late-antique with its mighty and powerful sculpture, where the perfect lightness of Greek classicism was, perhaps, not even a memory. Looking back one is confronted with a time of ‘reset’, a moment of political, historical, cultural and social crisis. The world was about to turn the corner. As now mutatis mutandis. Maybe it’s Vico's famous historical “corsi e ricorsi.” It may well be. Indeed Sganzerla’s generation belongs to a world where people talk more about precariousness than about dreams of change, a world in which you begin to think that the Western centralism is now part of the past.
It is three years since Pietro left our country, like many young men of his age, he has arrived in Berlin, coveted destination for a good chunk of them. In the German city he has established a different relationship with the culture of the East. The desire of discovery has come forward. How not to think of Byzantine culture when in front of his drawings? Of a world that for many centuries we have seen only in a negative sense – see Byzantinism – as a period to leave behind. We have always identified artistic evolution with the “changing of the art of painting from Greek to Latin” to paraphrase Cennino Cennini. The medal was earned on the field by those medieval artists who managed to ferry their painting from the Byzantine context towards the modernity of the nascent Gothic, in which mimetic representation played a predominant part.
As a matter of fact, always persuaded to have the truth in our hands, we have neglected some basic steps. We must not forget that the Eastern Roman Empire fell a thousand years after the Western Empire and that during that long term, all kinds of tricks have happened. In his final years Federico Zeri (2), the great master of art history, had devoted several studies to this fascinating time.
Culture is not static, and the steps and exchanges happen when you least expect them.
This to say that if we try to read his work without taking into account a wide range of elements, of passages, of cultural stratifications, the result is that we are impoverished rather than enriched.
I believe that the biography of a person, of an artist, is an element of great importance to understand his path. This is the case with the young Sganzerla, brought up in a family where design and creativity are literally at home. His maternal grandfather, Egidio Bonfante, to whom Pietro also resembles physically, was a significant artist who worked for Adriano Olivetti. Pietro’s father, Angelo, is an established graphic designer. Over the years his parents have collected the most disparate objects, textiles, masks, paintings: a stuffed parrot from Paris makes a fine show of its colourful plumage in the living room in Milan, a sort of Wunderkammer where Pietro has grown up.
He saw, he looked, he read, he found many things under his eyes, and this has played a decisive role in his research.
As a child, glued to the television for hours like most of his generation, he drew. It so happens that since those years he has mainly drawn faces, just like now. It is like an obsession to him.
For some time Pietro has been working on the drawings which this text accompanies. The subjects are a large group of people who often have names, most often borrowed from the ancient world, which he is so strongly linked to. But do not think of him as a bookworm. Pietro’s attitude is anti-philologic. He likes coins and medals, he carefully looks at them, he is even inspired by them, but the mere live copy is not part of his horizon.
His desire is precisely to break free from all this, to fully live the freedom of the gesture, of the mark. His faces are like maps, a sort of semiotic horror vacui, a clear answer to the limitations of the sheet. There are strokes, marks, the Greek alphabet revised and updated, African tribalism, Indian culture, and other completely new inventions.
The facial decoration of his characters are like a sort of tattoo. Berlin is full of people who have tattoos all over the body and even on the face, it is a form of art, a choice, a declaration of belonging in many cases. It is certainly not only a phenomenon of young people: the old Punks, who are over seventy, where do we put them?

(1) I’d like to highlight that this is the first critic text dedicated to his work.
(2) Federico Zeri (1921-1998) among the most appreciated connoisseurs, has been perhaps the best known Italian art historian.

Ritratti dalla Prateria


Indiani

di Franco Toselli

Autoritratti nordamericani a quattro zampe o a due mani,
L‘autoritratto nasconde i riccioli di Pietro ma non le piume del falco.
Il segno, sottile come il filo di un arco si confonde col mare.
Segni della stessa tribù si ritrovano uniti sulla carta.
L’immagine è in movimento, l’orizzonte non è perduto.
Il territorio dell’arte non è una riserva indiana.
Il disegno è protetto dall’autorità dell’inchiostro.
Pietro fa una riflessione sulla natura e sul coraggio,
dalla rosa canina a lupo grigio, ormai lontano nella foresta.
Il vento non sa leggere, ma disegna con foglie e nuvole.
Raccogliere le foglie con i figli e l’acqua dalle nuvole,
una buona ragione per fare arte in occidente.
Con un filo di mondanità e i passi felpati di Proust,
la vecchia Europa si rinnova nell’arte se riduce l’azione.

Indians
by Franco Toselli


North American self-portraits four legged or two handed,
The self-portrait hides Pietro’s curls but not the hawk’s feathers.
The mark, as thin as the bow string blends with the sea.
Marks from the same tribe are united on paper.
The image is in movement, the horizon is not lost.
The art territory is not an Indian reservation.
The drawing is protected by the authority of ink.
Pietro reflects on nature and courage,
from the rosehip to grey wolf, by now far from the forest.
The wind cannot read, yet it draws with leaves and clouds.
It collects leaves with sons and water from the clouds,
a good reason to make art in the Occident.
With a touch of worldliness and Proust’s soft steps,
old Europe is renewed in art if action is reduced.

© Pietro Sganzerla 2023